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Ormeggi sospesi

sospesa

Aspettando un attimo di lucidità,

ho avuto la percezione di quanto tempo non sia mai passato dentro di me.

Di quante voci e suoni e urla mi siano passate accanto,

senza che io mi sia mai smossa.

Ma non sono così immobile e forte come vorrei.

Mi muovo e mi smuovo anch’io,

senza che alcuno ascolti o veda.

L’ invisibilità è un dono a volte.

E nell’etere, puoi avere questo dono,

senza essere solo o parlare al vuoto.

Qualcuno di invisibile

come te

coglie e fa suo ciò che tu decidi di lasciar andare.

Io lascio andare questo.

Un segno,

tanti segni,

pensieri in ormeggio sospeso,

quiete abitudini di respiro e sospiro,

verità non tanto nascoste,

speranze infantili,

doni non dati,

discorsi mai fatti,

desideri non così duraturi

e amori non così forti.

Lascio me insomma.

Forte del fatto che nessuno mi verrà a cercare.

Capita,

trovarsi in mezzo alla strada,

fermarsi,

guardare le pozzanghere,

annusare l’aria umida e non trovare più le parole per definirsi e per capirsi.

Capita,

non stupirsi nè arrendersi.

Semplicemente incamminarsi,

così com’è.

Anche confusi va bene.

E se non si è più gli stessi da tempo,

ma non si sa neanche cosa siamo diventati,

va bene lo stesso.

Anche in divenire va bene.

Lontano da qui.

Occhi ben aperti intorno,

lucidità incostante.

Stretta forte sul controllo,

sulla speranza di un posto migliore per essere e avere,

e sentirsi reali finalmente.

Basta proiezioni,

basta vuoti a rendere colmi di frustrazioni altrui.

Voglio tornare a me stessa e ai miei casini,

voglio riportarmi a casa,

ché qui non c’è più posto neppure per leccarsi le ferite.

Voglio tornare indietro nel futuro e trovare la cura.

Ogni tanto, solo ogni tanto, poterla usare

e risparmiare a me stessa tanta disillusione

e tante rincorse inutili ad un mondo che non ci sarà mai.

Ricomincio da me stessa,

e la strada è lunga, lo so.

Porto con me tanta determinazione, sperando che basti.

Ogni cosa a suo tempo.

Immagine

Esser tirati giù per le scale, al buio, di corsa come se non ci fosse altra scelta.

Come se da quell’attimo di paura dipendessero molte cose.

Vi è mai capitato?

E’ il modo migliore che riesco a trovare per descrivere come mi sento quando rientro nella morsa dei legami familiari. Non riesco a chiamarli affettivi.

Ho imparato tante cose di me negli ultimi tempi,

ed ora sono lucida e rassegnata.

L’amore è un sentimento necessario per sfamare i figli, imprescindibile. Eppure, in molti casi, moltissimi, non va così. Piccoli adulti crescono, senza sapere cos’è l’amore vero e incondizionato. Ne sentono parlare, lo cercano disperatamente, ne hanno fame e finiscono per fare a patti con se stessi pur di averne un pezzetto. E quando, miracolosamente, lo incontrano..inizia la vera vita: smontarsi pezzo pezzo e riassemblarsi lentamente per ripulirsi da tutte le paure, le convinzioni e gli assoggettamenti della vita precedente. E’ un processo di rinascita. Non sempre va a buon fine.

Ho iniziato questo percorso tanto tempo fa, ne vedo ora qualche frutto. Ma il risultato che non avevo considerato è quella sorta di impoverimento emotivo che mi ha dolorosamente portato a non avere più voglia di trascinarmi dietro legami con luoghi, volti e persone di una vita. Sentirsi ospiti nella casa dove si è cresciuti, sentirsi spina scomoda nel fianco di coloro da cui per una vita hai cercato sostegno, sentirsi come alice in un mondo incomprensibile in cui tutto è al rovescio rispetto a ciò in cui credi e cui sei abituata a ritenere importante, è come essere minacciati in continuazione, è come sentirsi piccoli piccoli in un mondo più grande e devastante, è come esser trascinati gù dalle scale in una notte di paura.

Ma, e per fortuna c’è un grosso ma, ora comincio a capire che io ci sono. Finalmente posso contare anche su me stessa e su quello che vorrei essere. E non solo. Non sono un fiore unico, non sono sola. Mi sento amata, di quell’amore non malato e autentico che dice “Io ci sono e sono qui per te”.

E questo non è un amore solitario, non è l’amore di un pilastro unico nella mia vita, che se dovesse crollare butterebbe giù tutto, ma è l’amore di tanti, che ci sono, sempre accanto a me.

Non è l’amore della mia famiglia, di coloro che mi hanno voluto qui a tutti i costi,

non potrà mai sostituirlo, ne sono consapevole

e dovrò confrontarmi con questo vuoto tante e tante volte,

ma è amore e mi ha nutrito e aiutato in questi anni a trovare un pezzetto di me.

Non mi sento arrivata, non si è mai arrivati.

Ma la vita mi ha portato ad occuparmi di altri con la mia stessa fame,

e a provare a risanare quei cocci che si possono ancora riparare.

Ho visto negli altri occhi la stessa ricerca disperata di approvazione, di sostegno.

Qualcuno si salverà, qualcun altro no.

Ma abbiamo tutti le stesse cicatrici e ci riconosciamo.

Possiamo essere la prova gli uni per gli altri che si può correr via da quelle scale e trovare un altro posto sicuro nel mondo, in cui nessuno verrà a dirti che sei un fallimento, un esperimento mal riuscito.

E che la rabbia e quel carico enorme di frustrazione che da sempre ci portiamo dietro

può essere trasformata in energia per ripartire e andare avanti.

Sono fiera e orgogliosa di tutti coloro che ho incontrato in questi anni,

che mi hanno insegnato a non arrendermi e a volermi bene.

E che mi hanno dato uno specchio, non distorto, per vedere come sono in realtà, nel bene e nel male.

Nulla è definitivo, per fortuna.

Ma avevo bisogno di fissare questo momento,

perchè avrò bisogno di ritornarci, con la mente e con il cuore,

per essere sicura di non tornare indietro.

Sono sempre passi spinati,

sono sempre io con le mie angosce e la voglia di perdermi ogni tanto,

sono sempre io con il mio labirinto e le sue stanze,

sono sempre io con la mia vita parallella fatta di caramelle gommose e cazzate liberatorie.

Ma sono anche una piccola adulta pronta a lasciarsi indietro tante illusioni e false speranze.

Pronta a concentrare le proprie energie su quello che conta.

Ora tocca a me.

Proverò a nutrire me stessa d’ora in poi.

Continuando a incollare i cocci di altri come me, e a rimontare i miei.

Qualcuno mi ha detto che si chiama consapevolezza.

Non so se si tratti di questo,

ma sento che si tratta di un sentimento mai provato così forte.

Mi sento libera,

anche da me stessa finalmente.

Passi spinati

Potrei riuscire a toccarti se solo volessi, come la tenerezza di un ricordo che non c’è più.

Potrei imparare dai miei passi spinati, se solo volessi.

Potrei andar via di nuovo e lasciare il nulla dietro.

Potrei buttarmi via, senza peso, senza concretezza.

Ma non è quello che voglio ora.

Decido di restare e di vedere chi sono ora e dove sono.

Tolgo le spine dai piedi, una ad una.

Mi compiaccio delle ferite e le pulisco, pensando alle cicatrici.

Sono una guerriera e guardo ai lividi senza rancore.

Se sono qui, lo devo alla mia tenacia.

E i segni fanno parte del gioco.

Sono una mappa, fisica e mentale delle vie dell’angoscia.

Che nel mio labirinto sono infinite.

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Senza opporre resistenza.

Plàcati ché nulla è immobile.

Non puoi rincorrermi per sempre, dicevo.

Ma allora dove sei? E da dove viene questo silenzio?

Non riesco più a sentire che il mio respiro.

Non mi capacito. Non è possibile che io abbia perduto il mio segugio.

Eppure sono ancora dentro il labirinto.

Ti aspetto, senza opporre resistenza.

Sono qui.

Senza barricate nè difese.

Perchè è questo che voglio.

Perdermi.

 

Ti prego, prendimi.

Libertà, ti desidero.

Spazi e mondi lontanissimi, sperando di trovare quello giusto.

Scuse credibili per non essere quello che si è.

Impazienza e voglia di ascolto.

Fretta di essere altrove,

sperare in un luogo sicuro fatto di tutti i pezzi del mondo, ché nessun luogo è abbastanza.

Libertà, ti desidero.

I momenti non bastano più,

nè le frasi fugaci, dette tra i denti, sotto il ricatto.

Il bene non si ottiene sotto condizionale.

L’amore non spunta sotto il cuscino.

O c’è o non c’è.

Non mi avevano avvertito,

non me l’avevano detto.

L’ho scoperto via via.

L’irruenza ha lasciato il posto alla pacata riflessione,

a volte assomiglia alla rassegnazione,

a volte sfiora uno stato di saggezza quasi contemplativa.

Mi guardo da vicino e mi dico che non sono io, che non mi riconosco.

Che non mi conosco.

Sto solo giocando, con il tempo e con le cose.

Capisco che tutto passa, ma in che modo?

I miei occhi diventano sempre più grandi,

vedono meno,

eppure proprio per questo, di più.

Quanto tempo ho perso,

e amori lasciati indietro,

passioni svuotate,

aspettative accantonate.

Forse sono solo in attesa di vestire panni più larghi,

più adatti a me.

Allora sono in transizione..

..mutazione?

Dietro la maschera

<< L’ “uomo forte” nella vita sociale è spesso, nella vita privata, un bambino di fronte alle proprie situazioni sentimentali: la sua disciplina pubblica (che egli esige dagli altri) fallisce penosamente in privato. La sua giocondità professionale ha, a casa, un volto malinconico; la sua morale pubblica incontaminata ha un curioso aspetto dietro la maschera..>>.

C.G. Jung, “L’Io e l’inconscio”. Ed Bollati-Boringhieri.

Credo sia pieno di spunti attuali.

Non solo personali a questo punto, ma anche pericolosamente pubblici.

Sono rimasta di nuovo incastrata nel mio labirinto personale.

E’ buffo, penso di aver imparato la strada dalle mille strade già percorse e invece sbatto sempre il muso in un nuovo vicolo cieco.

Sbaglio o si moltiplicano all’infinito le non vie d’uscita?

Ma si moltiplicheranno all’infinito anche le uscite?

Perchè ho l’impressione che il labirinto cresca con me, dentro. A volte mi sento sopraffatta, dalle voci, dai rumori di fondo troppo alti. Non riesco a pensare, a capire, a concentrarmi su me stessa, su chi sono, su cosa voglio.

Eppure so chi e cosa non voglio essere. Almeno questo.

Sono così arroccata sul mio sgabello altissimo da non riuscire più a raggiungere chi mi sta intorno, laggiù. E non so se mi piace.

Di sicuro mi difende però.